Il campionato di A con vista Nord: è lo specchio del Paese
La geografia del calcio, quasi sempre, è lo specchio economico dei tempi. Un’istantanea, a volte secca e brutale, che ci racconta lo stato di ricchezza e di povertà delle nazioni, delle regioni, delle città. Prendete l’ultima Champions League: quali squadre hanno raggiunto la finale? Il Bayern Monaco e il Borussia Dortmund, due tedesche. E qual è il Paese che, in Europa, trascina l’economia e detta legge agli altri? La Germania, ovviamente. Badate, non è un caso: il calcio rispetta le gerarchie del mercato, chi ha più soldi (se non è uno scialacquatore e un incompetente) di solito vince. E, restando in ambito continentale e ammettendo che possono sempre esserci eccezioni (seppur sporadiche), è facile prevedere che servirà molto tempo per scalzare le tedesche dal trono.
BARICENTRO — Venendo all’Italia si scopre che la nuova Serie A, che ieri sera ha abbracciato il neopromosso Livorno, ha spostato il baricentro verso nord. Al di sotto di Roma, soltanto due squadre: il Napoli e il Catania (perché il Cagliari, in nome di un indipendentismo pallonaro, lo assegniamo a una zona neutra). Il dato rappresenta un chiaro segnale di come vanno le cose nel Paese: la crisi economica morde ovunque, ma al sud si sente di più. Non si cresce, spesso non si lavora, la disperazione è pane quotidiano e la mancanza di calcio, in città come Palermo (tanto per fare un esempio), diventa un fattore sociale di cui tenere conto. Come non ricordare il lungo applauso del pubblico che, all’ultima giornata di campionato e con la squadra già retrocessa, ha accompagnato i giocatori del Palermo negli spogliatoi? Come non prendere in considerazione quel patrimonio di affetto e di emozioni che è stato disperso, anche a causa di una condotta societaria priva di logica e figlia dell’approssimazione? Cinque cambi in panchina in una sola stagione a che cosa hanno portato? Alla Serie B, all’amarezza e alla delusione. Sentimenti che strisciano in tutto il meridione d’Italia: la Puglia è senza squadre in A, la Calabria pure. Siamo tornati indietro di dieci anni (stagione 2003-04), quando nel massimo campionato c’erano soltanto due formazioni al di sotto di Roma. Invertire la tendenza, più che una speranza, è un obbligo se non si vuole consegnare un intero pezzo di Paese alla disaffezione.
DISILLUSIONE — Alla disillusione del sud corrisponde l’entusiasmo del nord. Verona avrà ancora il suo derby, Chievo contro Hellas. E così saranno cinque le stracittadine di Serie A. E poi c’è il Sassuolo, novità assoluta, espressione di un territorio che produce, lavora, guadagna. Ed ecco che ritorna il tema economico. Dove ci sono i soldi, e soprattutto dove si sa come spenderli, il pallone rotola meglio. Con il Sassuolo l’Emilia raggiunge la Lombardia e balza in testa nella classifica delle regioni più rappresentate: 3 squadre ciascuna. A ben guardare le zone più ricche del Paese sono anche quelle che, nel calcio, hanno più voce in capitolo. Non va dimenticata infatti la presenza del ricco nordest: oltre al Chievo e al Verona c’è l’Udinese che è parte, sia economicamente sia culturalmente, di quel distretto. Undici regioni su venti mettono la loro bandierina sulla Serie A: poco più della metà. Per uno sport come il calcio, che è sempre stato definito "il gioco nazionale", che appartiene a tutti e di tutti dev’essere l’espressione, auguriamoci presto un allargamento geografico